Ipertrofia prostatica benigna
Cos’è la prostata?
La prostata è un organo ghiandolare che fa parte del sistema riproduttivo maschile. Ha la forma di una castagna ed avvolge completamente l’uretra, il canale di deflusso dell’ urina all’esterno, subito distalmente la vescica. Poggia con il suo apice su una struttura muscolare rappresentata dal muscolo elevatore dell’ano le cui fibre concorrono a formare lo sfintere striato dell’uretra, struttura fondamentale per il mantenimento della continenza urinaria. La prostata ha la funzione di produrre il fluido prostatico che è una delle componenti principali del liquido seminale. L’uretra ha la funzione di consentire il deflusso di urina dalla vescica verso l’esterno durante la minzione e, poiché il suo primo tratto è sito internamente alla prostata, modificazioni di volume e di struttura della prostata stessa possono creare ostacoli al deflusso di urina e di conseguenza rendere difficoltosa la minzione.
Attorno ai 25 anni la prostata pesa circa 20 grammi. In seguito inizia progressivamente a crescere in volume, per un processo anatomo-patologico noto come iperplasia prostatica benigna (IPB). Le manifestazioni cliniche di questo processo possono essere molto diverse ma è altamente probabile che fino al 40-50% degli uomini –vivendo abbastanza a lungo- avrà prima o poi qualche sintomo di difficoltà minzionale (disuria), sebbene l’ entità dei sintomi non sempre risulti correlabile alla volumetria della ghiandola.
L’ IPB può progredire –se non trattata- sino a condizionare l’insorgenza di patologie associate anche gravi ma non è –per se stessa- causa del cancro prostatico, con cui peraltro può coesistere.
Quali sono i sintomi dell’IPB?
Le più comuni manifestazioni cliniche sono correlate ad alterazioni della dinamica minzionale, e vanno sotto il nome generico di LUTS (sintomi del basso tratto urinario).
Tra essi annoveriamo:
- minzioni frequenti, diurne e –soprattutto- notturne, con quantità spesso modeste di urina
- getto esitante, debole, in più tempi
- senso di incompleto vuotamento
- urgenza minzionale (anche con perdite urinarie), sgocciolamento a fine minzione
- ematuria (sangue nelle urine): rara ma non eccezionale, anche in relazione all’ assunzione di farmaci vasoattivi
Tali sintomi possono essere equilibrati tra loro oppure prevalere sotto il profilo dello svuotamento o del riempimento. In particolare, quando la sintomatologia principale riguarda l’ incapacità di trattenere le urine per ridotti volumi di riempimento, il ruolo della vescica risulta significativo. Infatti l’ ostruzione cervico-uretrale (OCU) causata dall’IPB può comportare la tendenza della vescica a contrarsi in modo non volontario (iperattività vescicale) già ad un livello di distensione modesto. Altre condizioni patologiche possono favorire l’ insorgenza di questi quadri, ovvero aggravarli (patologie neurologiche, stress psichico, associata neoplasia vescicale).
Come progredisce l’IPB?
Man mano che si ingrossa la prostata schiaccia l’ uretra in prossimità del collo vescicale. Ciò rappresenta un’ ostruzione al flusso urinario, che richiede un’ aumentata contrazione vescicale per ottenere lo svuotamento. Come ogni altro muscolo la vescica si ispessisce, il che finisce per peggiorare le cose: si riduce progressivamente la quantità di urina che il viscere riesce a trattenere, per cui le contrazioni divengono ravvicinate e per modeste quantità di urina, dando luogo a minzioni sempre più frequenti (diurne e notturne). La situazione estrema si raggiunge quando la vescica diviene così spessa da perdere completamente elasticità non riuscendo più a svuotarsi e dando quindi luogo alla ritenzione urinaria. Può tipicamente essere “acuta” (RAU), determinando un’ improvvisa e completa incapacità di svolgere l’ atto minzionale, con conseguenti sovradistensione della vescica e marcato fastidio o dolore sovrapubico. Essa richiede il posizionamento in urgenza di una sonda vescicale (catetere).
La RAU può essere precipitata dall’ insorgenza di condizioni infiammatorie sovrapposte all’IPB, spontanee o indotte (es. a seguito di anestesia per interventi su altri distretti). Spesso il processo è, dopo terapia, reversibile, mentre in altri casi i tentativi di rimozione del catetere vescicale risulteranno fallimentari per cui si renderà inevitabile il ricorso ad una procedura chirurgica. Nei casi in questa sia rifiutata dal paziente o presenti un rischio inaccettabile per la sua sicurezza a causa di patologie concomitanti, si dovranno valutare trattamenti mininivasivi oppure il mantenimento del catetere a permanenza.
In altri, e non infrequenti casi, la ritenzione può instaurarsi in maniera progressiva e subdola, spesso accompagnandosi ad un adattamento soggettivo del paziente, che può arrivare a tollerare importanti volumi di riempimento (anche 1 litro di urina) senza particolare discomfort; tale ritenzione (“cronica”) corrisponde spesso ad un danno inveterato della vescica, e può comportare ripercussioni sulle alte vie urinarie, determinandone la dilatazione (idronefrosi) che –qualora bilaterale- può comportare condizione di “insufficienza renale”.
L’evoluzione è sempre scontata?
No di certo. Il corso della malattia può variare molto. Talora la malattia progredisce sino ad un certo punto e poi si stabilizza, in altri casi il peggioramento è percepibile da parte del paziente nel giro di qualche anno. Infine, a parità di sintomi, la percezione di impatto sfavorevole sulla propria condizione minzionale può variare alquanto da soggetto a soggetto. Di ciò si deve certamente tenere conto quando si considera un trattamento dell’IPB.
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